E fu nuovo silenzio nell'assemblea; la voce del Doge moriva funebremente nell'ampiezza della sala; il popolo fremea al di fuori come l'onda del mare; la notte intanto s'avanzava e accresceva le paure della moltitudine.
Si apersero le porte del senato; e di mezzo a folto popolo che stava per irrompere nella grand'aula, si trasse innanzi un giovane popolano, si inchinò reverente ai piedi del Doge, e poi sollevando una fronte aperta e serena, imbrunita dal sole, improntata di quel coraggio, di quell'ingenua fidanza nelle proprie forze, che è tutta propria della gioventù e dell'anime d'alta tempra:
— Io, cominciava con piglio risoluto, e recandosi la mano al petto quasi in atto di giuramento, coll'aiuto di Dio e di S. Giorgio, protettore della città nostra, farò salva la repubblica, se l'opera mia, se la mia vita le sono accette.
— E quale il nome vostro, animoso giovane? gli chiese il Doge.
— Emmanuele Cavallo, marinaio; rispondea quegli, premendo con una specie di orgoglio sulla parola marinaio. Mio padre non mi ha lasciato per eredità che un remo ed una balestra; quella balestra che ei seppe maneggiare, coll'aiuto di Dio e di S. Giorgio, alla battaglia contro Alfonso d'Aragona. Quel remo, quella balestra e il figliuolo del marinaio sono ancora al servigio della repubblica.
Il popolo, a quelle parole, ruppe in applausi e salutò il suo eroe.
— E quale è il vostro divisamento? quali i mezzi necessari all'impresa?
— Un solo e pronto, rispose il giovane. Accordatemi un galeone; navigherò in modo da penetrare tra la nave testè giunta e lo scoglio della fortezza; un colpo di scure alle fune di rimorchio — all'arrembaggio — e tutto è finito.
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Doge Doge Dio S. Giorgio Doge Cavallo Dio S. Giorgio Alfonso Aragona
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