Il galeone di Emmanuele s'avanzava tacitamente, a gran forza di remi, verso la Briglia, indifferente ad una grandine di moschettate, di scariche di bombarde e di sassi, con cui la nave e la guernigione francese tentavano di allontanarlo. Emmanuele Cavallo, grande ed aiutante della persona, tutto acceso nella luce del mattino, che, erompendo in quel momento da un nero nugolone, quasi a presagio di glorioso giorno, salutar parve il vessillo genovese trionfante per tanti mari, Emmanuele Cavallo, sfolgorante d'armi e piú nel volto per l'entusiasmo dell'imminente assalto, stava sulla poppa, stringendo da una mano la paterna scure e governando coll'altra il timone. Subito dietro lui, e piú compagno che seguace, si distinguea un altro giovane, una di quelle fronti che sembrano predestinate dalla natura agli allori della vittoria, una di quelle fronti che i secoli si trasmettono l'uno all'altro effigiate in bronzi ed in marmi a decoro dell'uman genere. Eppure questo giovane non ha ancora segnato lo scudo, come gli antichi direbbero, d'alcuna impresa; viene egli la prima volta all'esperimento dell'armi navali; ma il primo passo che ei tenta in questa ardua carriera, è il passo del gigante. Questo giovane sconosciuto è Andrea Doria. All'altro fianco di Emmanuele, e disdegnoso del secondo posto, vedi guerriero bellissimo della persona, sul fiore dell'età, tutto lucente di ricchissime armi, appoggiato sopra una spada a due mani, che sembra attendere con impazienza il grido dell'arrembaggio; e questi è Giustiniano, cui le ricchezze e i titoli di nobiltà avita non sono argomento per tenersi in disparte dai pericoli e spegnersi lentamente nell'ozio turpe dell'opulenza, ma di sprone a superare la gloria de' suoi antenati.
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