Sopra i tetti delle case, sulle cupole delle chiese, sulle antenne delle navi, lunghesso le mura della città, sul declive delle colline vedi una immensa corona di spettatori che, palpitanti e taciti per maraviglia, aspettano le dubbie sorti dell'ineguale combattimento.
— Viva S. Giorgio! all'arrembaggio, all'arrembaggio!
— Questo era il grido di guerra dei Genovesi nell'accostarsi alle navi dei nemici. Cosí Emmanuele diede il segno della battaglia, e tutta la ciurma de' marinai, coll'accette, colle scuri, cogli uncini alla mano, ripetè: — All'arrembaggio! all'arrembaggio!
Non fu che un momento, ma un momento decisivo, terribilissimo. Emmanuele seppe dirigere con tanta arte e con tanta prontezza il suo galeone che riuscì a penetrare tra la nave francese testè arrivata e lo scoglio della fortezza. Con un fendente di scure recide la fune di rimorchio che l'equipaggio nemico avea gettata agli assediati; balza primo sul cassero della nave avversaria, mentre i suoi compagni si sforzavano di uncinarla al galeone, ed ivi si impegna un combattimento mortalissimo a fendenti di scure, di accette, a colpi di coltello, arme prediletta e rinomata de' marinai Genovesi, petto a petto, braccio a braccio, in campo chiuso. Non v'è certo battaglia terrestre che possa paragonarsi in ferocia a queste zuffe d'arrembaggio; è una specie di duello a morte tra corpo e corpo, poiché è chiusa ogni via di fuga; sono ferite atrocissime aperte dallo stile, dal coltello e dall'accetta, che menano strage molto piú orrenda ed oscena che non le armi da fuoco; ivi è un odio, direi quasi personale, che anima i combattenti, un furore disperato che il piú delle volte non concede quartiere; ciascuno ubbidisce all'impeto proprio od al caso, senza ordine di capitano; ciascuno ha una pugna sua propria, accanita, mortale, ciò che non avviene nelle battaglie terrestri, dove il soldato combatte in linea e quasi sempre a molta distanza.
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S. Giorgio Genovesi Emmanuele Genovesi
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