Ma Giustiniano, accanito nell'inseguir la sua preda, si slaccia l'elmo, getta via la grave spada, e sguainato invece un acutissimo pugnaletto che portava alla cintura, si precipita anch'egli in mare, lo incalza, lo stringe, l'acciuffa col ferreo guanto, e minacciandolo col pugnale alla gola, lo costringe a tornare addietro e lo trae prigione sul legno genovese.
Emmanuele, grondante sudore e sangue, abbassò finalmente l'orrenda scure e guardò attorno, solo gigante in mezzo a un cerchio di cadaveri. Gli pareva aver sugli occhi un velo di sangue, e tra quel buio della mente ove passavano i fantasmi piú spaventevoli, trasognato guardò di nuovo i cadaveri e quindi se stesso; avrebbe inorridito di quello spettacolo, se tanta carneficina non fosse stata necessaria alla libertà della patria. Appena riprese i sensi e acquetò la mente, intimò a' suoi di ristare; e diffatti non v'era piú battaglia. I Francesi, spaventati di quel genere di mischia, tuttoché gagliardi ed animosi, parte si arresero a discrezione, parte si gettarono in mare ed affogarono, aggravati dall'armi od oppressi dalle ferite; altri piú fortunati o piú destri, superato lo spazio che stava tra la nave e la costa, si arrampiccarono tra gli scogli e si raccolsero cogli amici nella fortezza. L'armi, le vettovaglie, la nave stessa rimasero preda del vincitore che, traendosi dietro il legno conquistato, girò il corno del porto e si ridusse in S. Pier d'Arena.
— Evviva S. Giorgio e la repubblica, gridò Emmanuele agitando il vessillo vittorioso della sua patria; e quel grido fu ripetuto da tutta la ciurma, perfino dagli schiavi che remigavano, e dall'immensa corona de' spettatori che accorsero all'incontro del vincitore.
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