E questa era quella Genova che prima stette baluardo dell'Italia e della Cristianità intera contro l'impeto dei Barbareschi; che sino dal 1016 li cacciava da tutte le isole dei nostri mari, e finanche di Spagna, soggiogando Almeira e Tortosa col valore di pochi suoi figli, i quali scalarono primi le mura di quelle città; che mandava all'impresa di Terrasanta i suoi guerrieri, tra cui Guglielmo ed Eustacchio Embriachi salivano innanzi a tutti sulle mura di Gerusalemme e di Cesarea; come più tardi un ligure giovanetto salia primo su quelle di Metellino, e tre altri su quelle di Corone. Era quella Genova che, disdegnando vincere i suoi nemici altrimenti che per virtù propria, udito che tredici galee pisane erano state sommerse da una tempesta, inviò ambasciatori a quella repubblica, mentre infieria la guerra, per condolersene ed offrir pace onorevole a non piú gravi condizioni che prima offerte avesse ai Pisani armati ed incolumi; ed ora, questa Genova cosí benemerita, cosí generosa ricevea guiderdone che non è d'uopo specificare, perché la storia l'ha già eternato nelle sue pagine. Ma oggigiorno la patria di Andrea Doria, d'Ambrogio Spinola, di Colombo, di Giulio II, raccolta colle sorti del belligero Piemonte, sotto il paterno scettro della stirpe di Filiberto, ripiglia nuova vita; e la gloriosa impresa di Tunisi sembra giustificare l'ardimentosa espressione d'un poeta forestiero:
— Che la gloria del nome genovese è la figliuola primogenita del mare. —
PIETRO GIURIA.
UN TINTORE DI SETA
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