Andarono Batista Rapallo e Stefano Giustiniano, ma non ammessi alla presenza del principe, che non volea patteggiare co' ribelli, s'avvidero che nelle sole armi era riposta ogni loro speranza. Il Da-Novi, divise in due schiere i popolani, si scaglia coll'impeto della disperazione nelle file nemiche; il sangue corre a rivi; i Francesi dileguano innanzi al torrente che inonda; il Re stesso, assalito nel suo quartiere, si caccia precipitosamente a cavallo, e qual gregario soldato cerca nella difesa uno scampo; ma il cielo avea maturata la servitù della patria, e il generoso Doge, vista ogni cosa perduta, imprecando alla viltà di chi avea schiuso allo straniero le vie dell'Italia, pensò sottrarsi all'ire del vincitore e serbarsi a giorni migliori.
Correva il 18 aprile, e il Re circondato da cinque cardinali e dai duchi di Ferrara, d'Urbino, di Mantova ed altri principi, vestito di dorate armature, e colla visiera alzata faceva il suo trionfale ingresso. Giunto alla porta di San Tommaso, sguainato lo stocco, proruppe ad alta voce: — Genova superba; io t'ho domata coll'armi. — Aspri pensieri di sangue agitavano la sua mente, senonché ad ora ad ora gli scuoteva il cuore un sentimento di tale pietà, che ogni pensiero di sdegno gli dileguava all'istante.
Qual era la causa che sí fortemente lo commuoveva? Forse lo sdegno o l'amore? Accennano, è vero, gli storici, che come si accese in Milano di Caterina di San Celso, cosí in Genova Luigi fieramente innamorasse di Tommasina Spinola, e che ella ne morisse sul fiore degli anni e della bellezza, ma tacciono ogni altra particolarità che piú tende ad illustrare il nome di questa infelice.
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