Vedete; si appuntella leggermente col gomito, a guisa di pellegrino che la via lunga e l'ora tarda sospingono, ristà un momento per rinfrancarsi; ma i secoli eterni lo chiamano, e il suo desiderio già li precorre. Abitanti della tomba, coevi d'un tempo che passò per sempre, spirano una vita potentissima da que' marmi, e dal limite di due mondi parlano a noi successori e pellegrini come essi furono, ad una gran meta. Il cuore umano, senza comprendersi, ha pure una arcana e profonda simpatia per le tombe, e si addolora sopra vicende che secoli antichissimi già travolsero nella loro rapina; gli esseri che qui dormono, calcarono un giorno il pavimento che noi calchiamo; si allegrarono della luce che innonda cosí vivace le nostre pupille, e che passa indifferente sui loro sepolcri. I marmi logori di quegli altari non conservarono traccia delle loro lacrime; l'orma dei loro piedi si è per sempre cancellata da questa terra; ma nulla si è perduto! Ci precedettero; succederanno tra poco altre generazioni; leggeranno nuovi nomi su nuove lapidi: la stessa solitudine, lo stesso silenzio, la stessa aspettazione dell'avvenire per chi dorme da cento secoli e da un'ora sola.
Queste riflessioni mi rampollavano nella mente, nel percorrere alcune lapidi mortuarie nell'abadia di Ferrannia, una delle quali, antichissima, ricorda il nome d'una nuora di Adelassia, già signora di quel paese. Alcuni dotti, dall'irsute sopracciglia, rigettarono, come favola, la tradizione popolare che sarà argomento del nostro racconto; ma il buon popolo, senza curarsene, non volle sbandire da' suoi poveri focolai ciò che commove ed esalta dolcemente il suo cuore e la sua fantasia, ciò che forma la delizia delle sue veglie invernali.
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Ferrannia Adelassia
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