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      — "Come mai, diletta mia, le domandò Allerame riscuotendola dolcemente, come mai questo nero lenzuolo e questo serto avvizzito di bianche rose?
      E quella, aprendo gli occhi, di se stessa maravigliando, e della scena boschereccia che la circondava:
      — "Non impaurirti, rispondeva sorridendo, poiché anch'essa internamente rabbrividiva al colore ed all'ufficio del suo panno. Mentre mi teneva già sicura della fuga e presso alla porta che mette nel cimitero, vidi brillar lontano, nel fondo del corridoio, un lumicino, e fraintesi alcune voci di persone che si avvicinavano, forse delle monache chiamate a coro. Un passo ancora potea tradirmi; mi volsi addietro, salii nuovamente quelle cupe gradinate, mi ridussi nella sala, nel cui mezzo posava esposta l'estinta giovanetta, e — Dio mi perdoni l'atto profano di aver portata questa mano sulla fronte immacolata della sua sposa! — la spogliai di questa corona, di questo drappo, e fingendo atti e portamento di fantasma, attraversai corridoi, scesi gradinate, non vista od evitata per paura, e riuscii a penetrare nel cimitero. Tremava io stessa di rimirarmi; ma tu, Allerame! tu m'aspettavi!
      — "Affè, riprese il giovane sorridendo, rimasi anch'io attonito e quasi impietrato a questa nuova foggia di vestire; ma via, getta quei fiori sepolcrali e quel manto che fa ribrezzo; d'altri fiori, Adelassia mia, fiori rugiadosi, convenienti alla tua bellezza, all'amor nostro, al nostro avvenire, cingerò io la tua fronte.
      Intanto il giorno, vieppiú nitido e sorridente, circondava di luce e d'armonia i due fuggitivi


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





Allerame Allerame Adelassia