Dopo una gran battaglia che si protrasse a tarda notte, continua la tradizione, un vecchio monaco, avvolto nel bruno suo mantello, sostenendo colla destra una lanterna, il cui lume ripercuoteva sinistramente nei laghi di sangue, in mille strani aspetti d'agonia e di morte, s'avanzava a passo tardo, vaccillante; e qui porgea conforti ad un moribondo, là refrigerio e medicina ad un ferito. Il fioco raggio della lanterna battè a caso sul volto d'un giovanetto, giacente a terra, ma sollevato ancora sul gomito, in atto di frenare il sangue da una ferita a sommo il petto. Il monaco s'inginocchiò a fianco del soldato, gli fasciò la ferita, e sostenendolo dolcemente, lo trasse in disparte presso una fonte; ne attinse acqua in un elmetto, e l'appressò alle labbra scolorite del giovane sconosciuto. Intanto s'udia lontano l'ululato dei cani, il nitrito lamentevole dei cavalli sui cadaveri dei cavalieri, l'urlo famelico dei lupi calati al piano, e lo strillo degli uccelli carnivori. Il cuore del vecchio rabbrividiva a quello scempio, a quel ludibrio di umane membra; era pallido, ma non di paura, nè perché nuovo gli riuscisse quell'orrendo spettacolo. Accostò il lume alla faccia del moribondo; e quelle forme cosí giovanili, quella bellezza quasi donnesca, colpirono il romito di maraviglia e gli richiamarono un'antica imagine, l'imagine d'Adelassia; guardò la spada e gli parve di riconoscerla, gli parve d'averla già veduta al fianco d'Allerame nel momento dell'ultimo suo congedo.
Il vecchio monaco era Igildo, l'antico capitano d'Ottone, il solitario che avea dato ricovero ai due amanti fuggitivi.
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Adelassia Allerame Igildo Ottone
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