Amendue si guardarono senza far motto, soggiogati da un'antica reminiscenza. Quella fronte, quello sguardo acuto, scintillante del monaco non erano ignoti all'Imperatore; quelle forme austere e nobili le travedeva, quasi per sogno, tra la polvere delle battaglie, ai raggi d'un altro sole, il sole della giovinezza tramontato per amendue. Il monaco si fece avanti d'un passo, e guardandolo fissamente:
— "Incanutimmo amendue, Sire, voi imperatore ed io monaco, e tra poco compariremo dinanzi ad un altro re.
Queste parole, poco obbliganti per se medesime, furono pronunciate con un accento cosí solenne, con aspetto cosí umilmente altero, che Ottone, invece di indispettirsene, ne rimase soverchiato; e il monaco proseguiva:
— "Altre volte questo petto vestì una corazza invece di questo saio, e ricevè nobili ferite in campo, a gloria e sostegno vostro; — e qui scoperse il petto, ed accennò ad una larga cicatrice che lo solcava profondamente. — Ma il vecchio capitano fu presto dimenticato; Igildo morì per voi da gran tempo.
— "Igildo! proruppe Ottone, rannodando a quel nome i suoi pensieri, e levandosi da sedere con atto d'abbracciarlo; tu Igildo, l'antico capitano?
Scomparve in quel punto ogni distinzione; l'imperatore e il vecchio monaco piú non erano che due antichi compagni d'armi, dal cuore aperto, dal piglio soldatesco.
Dopo un colloquio caldo e confidente, il monaco si ricordò della sua missione, e volle tentar l'animo del sovrano.
— "Imperatore! acquistaste potenza e gloria, beni sommi a giudizio umano; ma — permettete la domanda al vostro fedel servo, all'antico commilitone — siete voi felice?
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