Quest'uomo che la bastarda civiltà nostra non domò ancora alle sue bizzarre abitudini; quest'uomo che non apprese a finger volto e linguaggio, a spoetizzarsi, ad annientarsi sotto le meschine foggie del nostro vestire, quest'uomo adusto dai soli della linea, indurito dagli aquiloni dei mari ghiacciali, parco, severo, intrepido e religioso, serba ancora quell'impronta di grandezza, di libertà, di potenza che Dio gli stampò in volto nel crearlo signore della terra, prototipo degli esseri animati. Eppure, lo credereste? sotto quel petto, che Orazio dice fasciato di triplice acciaio, batte un cuore, cui le alte, sublimi imprese sono elemento necessario di vita, un cuore pieno di bontà e d'eroismo! Non lo vedeste, quando solo nella notte, vigilante sentinella sul cassero, contempla il cielo, ricorda la sua famigliuola e mormora la canzone del suo villaggio; non lo vedeste, quando ai tocchi dell'Ave Maria, si leva devotamente il suo berretto e saluta la Stella del mare, l'avvocata dei naviganti. Quest'uomo che corre all'arrembaggio e si disserra in campo chiuso sull'abisso dei flutti, a guerra mortale coll'avversario, se gli avviene d'incontrarlo errante ed affamato sulla vastità dell'Oceano, divide seco lui l'ultimo tozzo del suo pane; se lo vede travolto dalla procella, in procinto d'affondare, mette a repentaglio la propria vita per salvare l'altrui, sia pur quella d'un nemico; per ora, dimentico d'ogni odio nazionale, non sente che la carità d'uomo ad uomo; gli stringe, nel partire, fraternamente la mano, forse per mai piú rivederlo o per combatterlo con armi pari, ad un cenno della sua patria:
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Dio Orazio Ave Maria Stella Oceano
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