— E mio padre!... ma i capelli di questo scheletro sono ancor neri... non è desso! — E il buon Jacopo, pregando tacitamente per quell'incognito, lo copriva di sabbia e sterpi per involarlo all'osceno ludibrio degli animali, al vento ed alla pioggia.
Compiuto il mesto ufficio, tale era la fatica delle sue membra e il bisogno della natura, che, sdraiatosi nuovamente in un angolo della spiaggia, prese sonno. — O Jacopo, tu dormi tranquillamente su questa terra inospitale; serena, imperturbabile è l'anima tua nel suo eroico sacrifizio. Oh fuggi, mentre n'hai tempo; il mare è aperto; propizia la notte e le aure. L'orrendo muro presso cui dormi, ti divide dal servaggio, dall'agonia, dalla morte; fuggi, prima che l'alba rischiari questi lidi; serba il fiore della tua giovinezza alla tua fidanzata; dinanzi a te è la vita, lo spazio aperto, l'avvenire; tra poco non avrai speranza che d'un sepolcro, e forse nemmen di questo. Vedi quello stesso cadavere che tu hai sepolto? — Ma il sonno di Jacopo non è interrotto nè da rimorso nè da paura; è il sonno della giovinezza e dell'innocenza. Si dipingono nella sua fantasia i dolci colli della sua patria, i boschetti d'oliveti mestamente indorati dal tramonto; gli sembra udire la nota canzone del pescatore, e il sibilio del vento che scuote il pergolato sul dinanzi della sua casuccia. La sua Maria, coronata di fiori nuziali, bellissima sopra ogni donna mortale, gli si fa incontro; l'altare è preparato; la sua canuta madre piange di tenerezza; Emmanuele, il suo buon padre, benedice l'augusta gioia de' suoi figliuoli.
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