Eppure tutto non è finito; la tradizione popolare ne rimescola ancora le ceneri, risuscita i delitti dall'ossame del colpevole; dà loro forma e movimento per trarli dal sepolcro, e pare che gridi ai posteri:
Discite justitiam moniti...
In questo caso la tradizione popolare è degnissima dell'attenzione dello storico e del filosofo; è una voce superstite, una giustizia suprema e quasi divina che rivendica i diritti del debole conculcati, ed imprime il marchio dell'infamia alle scelleraggini fortunate del potente.
Il castello, teatro del dramma misterioso che prendo ad abbozzare (senza toccar di troppo le circostanze de' luoghi e delle persone, perché non distanti ancor molto da noi), è posto su d'una eminenza, allo sbocco d'una gola di montagne che vanno a gittarsi in mare. L'aspetto fantastico dell'edifizio, la solitudine e la scena boschereccia che lo circondano, ti ispirano nell'animo un terrore misterioso, indefinito, e si acconciano mirabilmente alle leggende popolari. Sebbene disabitato da oltre cinquant'anni, è intatto nell'esterno e nell'interno, addobbato col lusso dello scorso secolo, co' suoi rabeschi, cogli enormi suoi camini, co' suoi specchi alla Luigi XIV, co' suoi seggioloni damascati; tutto in pronto, quasi gli abitanti ne fossero usciti per un momento a diporto. Solamente un amplissimo finestrone che si inarca nel bel mezzo della facciata, scassinato dal vento e dalla pioggia, rimase aperto, e battendo talvolta impetuosamente nel silenzio della notte, sveglia l'eco solitaria degli interni appartamenti.
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Luigi XIV
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