Finalmente nascose il lume, aprì le finestre, e fece capolino. — La notte si facea cupa e minaccevole; non si udiva né voce umana, né ululato di cani pei casolari e per le ville circonvicine; tutto, ad accezione della bufera, era silenzio e solitudine. Il Notaio guardò il cielo, e cercò i pronostici di quella notte. — Oh, come mai l'uomo che medita un misfatto enorme, ha coraggio di alzar la fronte, fissar lo sguardo nel puro lume dei firmamenti! Come all'idea dell'avvenire, all'imagine del Creatore che si riflette in que' templi di eterna luce, non depone le passioni scellerate che tengono al fango di questa terra! Come mai, a quella vista, non cade il ferro dalla mano dell'assassino!
Finalmente entrò Cencio.
La statura di quest'uomo men che mezzana, le spalle tarchiate, le mani corte e callose, il collo toroso, annunziavano una forza fisica piú che ordinaria; le ciglia rossiccie, rade ed ispide, l'occhio bigio, irrequieto, il naso largo e piatto, i denti piccoli e stretti, i capelli rossicci anch'essi e maligni, ritraevano, quale era veramente, un'indole brutale e bassamente astuta. Cencio, senza guardare in faccia il Notaio, senza torsi di capo un sozzo berretto che portava, con quella oscena dimestichezza che la comunanza del delitto stabilisce ben presto tra persone di grado differente, si abbandonò su d'un vecchio seggiolone.
— Per questa sera non si farà niente.
— E perché? domandò il Notaio che, ritto in mezzo alla camera, l'avea squadrato a prima giunta, impaziente di interrogarlo.
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