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      L'anima di costui non era putrida come quella del Notaio, vero tizzo d'inferno; l'ozio, l'ignoranza l'avea imbestialita, colpa piú d'altri che di lui, ma non era pervertita dall'ateismo e dallo stolto proponimento di rinnegare Dio e se stesso, per vincere ogni ripugnanza al delitto, per fiaccare le teste dei serpenti che il rimorso genera dentro il cuore.
      — Per Dio! cominciò Cencio con un tono di solennità che avrebbe mosse le risa, se la fisonomia di quell'uomo, quelli mani e le parole che stava per pronunciare non gli avessero impresso un non so che di terribile e di commovente. — Fui soldato, contrabbandiere, e sentia messa... sono stato in galera... e sentia messa. Bisognava che venissi in casa tua, fra tanti santi e tante imagini, per aver paura di avvicinarmi alla porta di una chiesa... per dimenticare persin mia madre... quella buona donna che, nel morire, mi diede questo scapolare, e mi disse agonizzando: — Cencio, non dimenticare tua madre! — Ed ora, lo crederesti, non ardisco gettar lo sguardo su questo ricordo... non ardisco pregare nemmen per lei!...
      E lo sguardo di Cencio infuocato da una specie di vendetta contro il Notaio che lo avesse ridotto a tale, si annuvolò di lacrime nel pronunciare queste parole.
      Il Notaio, sempre ritto in mezzo alla camera, lo guardava senza far motto; taceva e illividiva. Cencio, riscuotendosi dopo alcuni momenti da quella strana commozione, ed asciugandosi col rovescio della mano una grossa lacrima, ripigliava cogli occhi bassi e con animo determinato:


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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