Ma non tutti si acquetarono cosí facilmente alla tragica fine del giovanetto. Cencio, udito il caso, non dubitò nemmeno un momento che l'assassinio di Edoardo non fosse opera del Notaio. Ma temendo che quell'uomo formidabile avesse in animo altro misfatto, fermò seco stesso di attraversarglielo, di espiarne ogni andamento, e perciò d'infingersi. E Cencio purtroppo non si ingannava. Nacque allora tra il Notaio e il suo domestico una mortale diffidenza, tanto piú profonda, quanto piú cercavano di mascherarla; l'uno era divenuto tremendo all'altro, e stavano pur sempre uniti espiandosi, dissimulando, come duellanti col ferro incrocicchiato, che si guardano l'un l'altro e meditano un colpo decisivo. L'animo non ci consente di addentrarci nella vita domestica di que' due scellerati, e preferiamo di trattenerci coll'infortunio.
Eloisa, in quel giorno funesto, non uscì dal castello. Seduta nella cappella interna su d'un antico seggiolone, tiene fra le mani un grosso libro, forse quello stesso cui già accennammo in principio del racconto, e legge tacitamente le preghiere per i morti. Una luce scarsa che giù discende dalle gotiche finestruole dell'edifizio, accresce il mistero di quel recesso, la mestizia di quel giorno. Ad ora ad ora il vento della sera trasporta all'orecchio della giovinetta il suono lugubre delle campane; ed ella, tremandone improvvisamente ed agghiacciandone per tutta la persona, abbassa il volto e lo nasconde sopra il libro. Una lenta e grossa lacrima è caduta da' suoi occhi, le scorre lentamente per le guance, ed ella non se ne accorge; si credea sola, ma il vecchio Conte le stava a tergo, muto ed aggrottato.
| |
Edoardo Notaio Cencio Notaio Conte
|