— Quell'infelice, soggiunse allora con un profondo abbattimento — è già comparso innanzi a Dio che sarà giudice di noi tutti. — Voi, Conte, avete provata, stancata la pazienza della vostra vittima... di questa donna che, inesperta, non consultata, vi gettarono tra le braccia ... che non vi fece mai rimprovero delle sue lacrime, finché un oltraggio insopportabile venne a scuoterla dalla sua muta rassegnazione, finché la dignità propria, ferita dalla calunnia, le impose d'alzar lo sguardo, d'interrogarvi quale sia il vostro diritto sull'onor suo!
E quella donna, poc'anzi cosí altera, si sciolse in lacrime.
Il Conte parve commosso da quell'aspetto e da quelle parole; il veleno che lo avea mosso sulle prime, non era suo; l'anima infernale del Notaio glielo aveva destramente ispirato la sera innanzi, mentre Eloisa ed Edoardo si trattenevano ancora nella sala dei ritratti. Infingendo amicizia e zelo, avea sedotto, travolto il giudizio del Conte, uomo debole ed orgoglioso, e coll'apparenza di addurre scuse ai pretesi falli della consorte, ne supponea certo il delitto, se ne facea atrocissimo calunniatore. Il Conte, dopo il colloquio avuto con quel tristo, si era ritirato a casa e racchiuso nelle sue camere per non imbattersi in Eloisa; il resto è noto.
— Ma voi, rispondea il Conte, tentennando nella domanda, e già pauroso di un nuovo rabbuffo — voi... non amavate... il medico?
— A quest'ora, rispose Eloisa, non esistono piú motivi per occultare il mio secreto, secreto che dovea chiudersi nella mia sepoltura.
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