.. ed ora siete solo... avete bisogno... perfin di Cencio!
— Pur troppo!
E quell'uomo, già formidabile, simile a tronco fulminato, raccolse le braccia al petto e abbassò il capo.
— Oh questo è un momento d'espiazione! Dio mi ha percosso!
Quella notte, che gli dovea esser l'ultima, il Notaio aggravò fieramente e di subito. Era il giorno anniversario della morte del medico; e nel delirio della febbre, quella faccia d'annegato, livida, cogli occhi gonfii, colossale, gli stava innanzi. Il Notaio si volgeva altrove, ma quella testa era dovunque. Per riscuotersi da tali immagini, chiamò Cencio, e chiese da bere.
Questi, osservatolo alquanto in volto:
— Padron mio, cominciò a dirgli tra il serio e lo scherzevole, questa volta tocca a voi far testamento, ed è forse la prima volta che lo fate in buona fede.
— Comincia forse ad albeggiare, che io mi sento una specie di vampa nelle pupille?
— È notte fitta, padron mio; la vampa che vedete è forse un preludio dell'inferno.
— Chiamami un confessore.
— E che fare d'un confessore, se non credete né a Dio, né al diavolo?
— Cencio, non deridermi! le mie mani sono ancora terribili — e afferrava le coltri con una rabbia convulsiva.
— Vecchio tigre, hai perdute le ugne e i denti — soggiunse Cencio, sogguardandolo e traendosi addietro d'un passo. — Non mi avete voi detto, or fa un anno, qui appunto, che coloro i quali muoiono in questo giorno, non abbisognano di sacramenti e vanno dritto dritto in paradiso?
Ma il Notaio piú non udiva; il suo petto si sollevava per il rantolo dell'agonia; un bramito di fiera piuttosto che voce umana gli fremeva dentro la strozza.
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