— Hai paura d'un moribondo?
— Non paura, ma ribrezzo. Parlate, e siate breve acciò il tempo non vi manchi.
Il Notaio parve si rassegnasse a quell'insulto, e traendo un sospiro, soggiungeva:
— Pur troppo! dici il vero. Ti prego d'un servizio che sarà l'ultimo, e che tu non potrai negarmi, senza toglierti un conforto nell'agonia... Apri lo scrigno; la chiavetta è qui sotto il mio capezzale; prendi la collana che vi è riposta ed il ritratto di donna che vi è sospeso.
Cencio ubbidì; cavò fuori que' preziosi arredi, e fissando lo sguardo sul ritratto, strinse l'occhio destro, torse l'angolo sinistro della bocca, quasi gustasse un sapor prelibato:
— Oh la bella Contessa, esclamava, la bella contessina Eloisa! Questo era l'oggetto delle vostre meditazioni, non è vero?
E de' miei rimorsi! l'interrompea il moribondo. Ora, Cencio, mi ascolta. Per l'anima di tua madre, per la tua... per quest'ora amarissima che tu pure dovrai subire, porta intatta questa collana e questo ritratto alla contessa Eloisa...
E dove volete voi che io la trovi? Non ne ebbi mai piú sentore, da che sparì dal castello. È piú facile trovare il corpo del medico.
— Non amareggiarmi questi ultimi momenti di agonia. Saranno contati anche per te. La contessa Eloisa è a Genova, nel convento di... Va, recale questi oggetti che le appartengono; e dille... che mi perdoni!
E spirò.
Cencio, che non era scellerato al tutto, si inginocchiò presso il letto e pregò alquanto sommessamente. Rialzatosi, prese un capo del lenzuolo, e prima di stenderlo sulla fronte del cadavere, ristette a contemplarlo: — il ferreo tuo volere — parea dicesse nella sua rozza intelligenza, percossa da quell'immagine della morte — quel tuo spirito infaticabile, dove sono andati!
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