Voltasi quindi a Cencio, gli diceva pacatamente con una dignità temperata da profondissima malinconia:
— Recate questi oggetti a mia sorella, alla contessa N.N.; ditele, che le fui grata del dono, alla vigilia del mio matrimonio; e che ora, da questo monastero tutto le rimando, poiché nulla piú m'appartiene.
— Debbo cercar anche del signor Conte vostro marito, e ciò per parte del Notaio: — Avete qualche cosa a comandarmi?
— Ditegli ciò che vedeste e ciò che udiste.
E presentata a Cencio una borsa, si ritirava.
Di lí a poco tempo una marmorea lapide, posta di recente, biancheggiava sul pavimento d'una cappella nel monastero; ed ogni giorno, verso sera, una vettura abbrunata, tratta da cavalli bardati superbamente, si arrestava nel cortile dinanzi all'uscio della chiesuola. Scendea una dama vestita a corrotto, pallida, taciturna, accompagnata talvolta da un cavaliere, uomo di circa sessant'anni, anch'esso vestito a lutto; e senza scambiarsi mai parola, si raccoglievano amendue nella funebre cappelletta, presso il recente marmo. La dama non fu vista mancar mai a questa visita che nascondea forse per lei qualche motivo di espiazione. Era dessa la sorella primogenita d'Eloisa, che avea procacciato all'inesperta giovanetta il bel matrimonio ed uno strato anticipato dentro il sepolcro; — sotto quel marmo dormia Eloisa.
Il vecchio cavaliere che talvolta l'accompagnava, era il Conte suo cognato; e questi non fece mai piú ritorno al castello de' suoi padri, dove la tradizione popolare non vede a comparire, ogni notte, che l'ombra d'Eloisa e quella del Notaio.
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