Difatti l'imperatore, quand'ebbe ricevuto l'annunzio di quel singolare avvenimento, scrisse tosto ad Agostino Spinola, conte di Tassarolo, perché, appurata la verità, gli mandasse le informazioni opportune, lasciando cosí intravvedere che avrebbe rimesso il condannato si vera essent exposita.
In questo frattempo Giulio e Isabella supplicarono caldamente perché venisse loro accordata la facoltà di vedersi talvolta, e dopo replicate preghiere questo segnalato favore venne loro concesso. In quelle ore troppo veloci di conversare affettuoso si narravano scambievolmente i proprii affanni, le inquietudini, i timori e le speranze, e col desiderio affrettavano il giorno che, appagando i loro voti, li compensasse dei mali sofferti.
Lungamente aspettato, giunse alfine il rescritto dell'imperatore, il quale ordinava che fossero disciolte le catene del prigioniero mediante però una cauzione di mille scudi d'oro, che fu in seguito prestata da Giacomo di Bove ad instanza dei medesimi D'Oria dolenti della sventura di Giulio. Chi potrebbe descrivere la gioia immensa d'un prigioniero quando torna a rivedere la luce e le meraviglie della natura, quando passa dalla solitudine della prigione all'altare nuziale?
Il dì successivo a quello in cui riebbe la libertà, Giulio si strinse con nodo sacro e indissolubile ad Isabella, la quale obliò da quell'istante il passato per non pensare che alla felicità del presente e dell'avvenire. Indi si posero in viaggio per Albisola accompagnati da una schiera di congiunti e d'amici, e dalle benedizioni del popolo intiero che in Giulio riguardava un eletto reso sacro, per cosí dire, da un solenne miracolo.
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