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      Irato Astingo da sí coraggiose parole, lo fece, stretto da grosse funi, gittare dentro un vivissimo incendio: ma le fiamme, non che divorarlo, gli si apersero rispettose d'intorno, ed egli sereno e tripudiante cantava inni al Signore. I Normanni rimasero sí possentemente percossi dallo strano spettacolo che tenea del prodigio, che, date senza altro le vele ai venti, tornaronsi subitamente alle patrie contrade, carichi d'immenso tesoro. Da quel giorno funesto il navigante che veleggiava quel mare, volgendo lo sguardo su Luni, piú non ravvisava di tanto famosa città che un ammasso di pietre lorde del sangue de' suoi miseri abitatori.
      E giacché mi accadde di parlar di Venerio, non posso dispensarmi di toccar brevemente la grande riverenza che gli professano quei terrazzani, per averli tratti da un fiero pericolo. Portano le tradizioni che nel monte Marcello, due miglia lontano da Luni, vi fosse una caverna abitata dal piú mostruoso dragone che fantasia di poeti abbia potuto descrivere. Stimolata dalla sete del sangue, scendeva ogni giorno l'immane fiera in vicinanza della città, e faceva orrendo pasto di quanti le si paravano innanzi. Durò lungamente questo misero strazio, talché il paese ne rimase quasi deserto. Forza umana nè arte erano bastate a spegnere questo dragone, in cui la cupidigia del sangue si faceva ogni giorno maggiore. I pochi superstiti, vedendo non esser loro piú scampo, risolsero di ricorrere ad un uomo di santi costumi che abitava in un vicin romitaggio, acciò placasse l'ira del cielo che loro si mostrava tanto visibilmente indignato.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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