Ma Luni piú non esiste; il mare stesso che le recava il commercio de' popoli piú remoti, si è anch'esso ritirato; diresti che Nettuno ha ceduto i suoi regni a Cerere ed a Pomona. Ma i frutti di Pomona e di Cerere, per quanto siano preziosi, specialmente in questi tempi di carestia, non soddisfanno a quella brama di investigare le reliquie de' padri nostri; nè valgono a compensarci di quelle memorie che per sempre si perdettero — le memorie d'un popolo che è dileguato. Ora ti è d'uopo di cercar Luni in Luni stessa, ripeterti ad ogni passo quel verso lamentevole di Lucano.
Etiam periere ruinae.
Ma prima di farci a descrivere, quale è di presente la faccia di tai luoghi, suscitiamo in queste pagine un riflesso di quella gloria che già a Luni tributarono poeti e storici dell'antichità.
Virgilio, nel descrivere la soglia del tempio di Apollo, la dice composta di marmi lunesi, non altrimenti che la statua dello stesso dio:
Ipse sedens niveo candentis limine Phoebi
Dona recognoscit populorum, aptatque superbisPostibus.
Servio, interpretando questi versi, ci assicura che il marmo, cui Virgilio allude, venìa trasportato dal porto di Luni, e quindi gli attribuisce l'epiteto di candentis(31).
Silio Italico celebra anch'esso i marmi di questa città, laddove scrive:
......A niveis exegit Luna metallis.
E questo marmo fu talvolta preferto dagli antichi scoltori al pario ed al pentelico; e vivono effigiate in esso le divine sembianze dell'Apollo di Belvedere, che, depositato nel tempio di Giunone in Cartagine tra le spoglie insigni della vinta Scilla, seguì quindi Scipione in Roma, e dopo le innondazioni dei barbari, fu scoperto nella villa di Nerone; vivone eternamente in esso, a dispetto, diremmo quasi, di Febo e di Latona, alcuni figliuoli di Niobe; e spera vita non corruttibile, malgrado la vendetta di Antonio, l'imagine clipeata di Cicerone.
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