Una flotta di tredici galere, ancorata nel porto di Genova, sotto le gallerie del palazzo del Principe, stava in punto di salpare; già le ciurme salivano a bordo; già gli schiavi curvavansi sopra i remi, aspettando il fischio convenuto per attuffarli concordemente nell'acqua.
Andrea, vestito dell'insegne di grande ammiraglio, circondato da ambasciatori stranieri e specialmente da illustri personaggi di Spagna, assisteva, dall'alto delle gallerie del giardino, che si specchiano nelle acque del porto, alla partenza di questa flotta, destinata a recarsi in Africa per fiaccare l'orgoglio di Dragutte, e spuntarlo da una importante fortezza. Quand'ecco, alla porta del palazzo levarsi un gran trambusto: un giovane marinaio voleva ad ogni costo cacciarsi innanzi e presentarsi all'ammiraglio.
— Non vedi — gli diceva l'usciere del palazzo, un Castigliano, alto ed aiutante della persona — non vedi che il principe serenissimo si trova adesso in quel crocchio di grandi di Spagna, e non può badare a' fatti tuoi?
— Il signor Andrea è sempre pronto ad udire un marinaio...
— Che signore Andrea! — l'interruppe il Castigliano con quell'orgoglio che è proprio dello spagnuolo, in soprappiú della solita petulanza che regna nell'anticamere, — lo non conosco nessuno signore Andrea.
— Lo conosco ben io il signor Andrea; e il signore Andrea dei marinai vale molto piú del tuo principe Andrea; rispose il giovane, guardandolo con disprezzo, e già sentendosi brulicare le mani.
— E vuoi con questi panni... — soggiungeva il Castigliano, gittando disdegnoso uno sguardo sui poveri arnesi del marinaio.
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