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      Ma al fomite dell'ambizione, altre e peggiori furie doveano aggiungersi e accelerare il precipizio dell'innocente famiglia.
      Un giorno, mentre il marchese dell'Aquila percorrea, cacciando, i suoi dintorni, i cani si diedero ad inseguire una cervetta, la quale, già ferita e trepidante, corse a rifugiarsi nell'atrio d'una cappella campestre. Il Marchese, incalzandola, si trovò al cospetto d'una giovane castellana, la sposa del suo parente, la quale, in assenza del marito, qui si recava, accompagnata da poche damigelle e sostenendo tra le braccia il suo primogenito, bambino vezzosissimo, che ritraeva colle grazie infantili la maestosa bellezza della madre. I raggi dell'aurora brillavano tra le seriche bende che in forma di cuffia avvolgeano il capo della giovanetta e suscitavano mille ardenti colori nelle gemme del corsaletto, donde spiccava la sveltezza e la leggiadria della persona bellissima. La cervetta si rifugiò ai piedi della sua padrona, mentre costei, sollevando il suo pargoletto all'imagine della Madonna, le presentava per di lui mano un'offerta di fiori campestri che ella stessa avea tessuti in corona. In quel devoto atteggiamento, reso piú soave dal sorriso di madre, in quel complesso di maestà, di grazia, di verecondia, stette quasi visione di paradiso innanzi agli occhi del cavaliero, il quale facendosi innanzi rispettosamente, la supplicava di perdono, se, non conoscendola, avea inseguita la sua cervetta.
      La donna, accorata da gran tempo per la sorda inimicizia che divideva i due parenti, sospirava le venisse il destro di poterli ella stessa riconciliare.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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