Il barbaro ha giurato d'atterrar quella croce, e piantar sovressa lo stendardo dei credenti. Assiso su d'un pilastro rovesciato, contempla tacitamente quello spettacolo, non senza una tristezza indefinibile, perché l'anima di questo uomo è sublime e facile ad una mesta contemplazione, come è proprio delle menti orientali. Pensa alle vicende degli imperii, alle sorti che i destini hanno promesso alla sua discendenza; quindi getta lo sguardo verso la catena dell'Olimpo, alla città di Brussa, che già fu sede de' suoi prodi antecessori, ed ora ne conserva ancora le ceneri. Rammenta il sogno d'Orcano, uno de' suoi piú illustri antenati, quando gli si offerse in un sogno misterioso l'imagine d'un albero colossale, da cui diveltosi un ramo a forma di scimitarra, parea gli accennasse il cammino di Costantinopoli. Ed ora, il compimento della profezia è riserbato alla sua spada. A poco a poco un sonno leggerissimo cominciò a velargli le palpebre, ed egli, abbassato il capo sulla destra, cesse dolcemente al bisogno della natura. Dorme l'uomo formidabile, da cui pende il destino di tanti popoli; ma l'anima sua attinger deve da quel sonno nuove forze, confermarsi nella credenza che egli è destinato a fondare in Europa la grandezza degli Ottomani. Una visione mirabile gli stette allora innanzi alla mente, suscitata forse dai pensieri della veglia e dalle religiose tradizioni che si conservavano da gran tempo nella sua famiglia. Gli parea si spalancassero le tombe imperiali di Brussa, e avviluppate nei loro manti imperiali, luminose, piú alte della statura mortale, ne uscissero le grandi ombre de' suoi padri.
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