Quando Costantino trasportò la sede dell'impero a Bisanzio, conobbe come importasse provveder d'acqua quell'immensa metropoli; e giovandosi della china dei valloni che si abbassano alle sponde della Propontide, fece costruire un gran numero d'acquedotti che ci percuotono d'ammirazione ancora oggigiorno. L'acquedotto cosí detto di Valente, quello di Pirgo, sono monumenti della grandezza romana, per arte e solidezza di costruzioni non superabili.
Ma ciò non bastava alla previdenza di quel savio imperatore. Un nemico che assediasse Costantinopoli poteva, in meno di un mese, ridurla a disperazione con rompere i canali e gli acquedotti che menano l'acqua per l'uso quotidiano degli abitanti; quindi era necessario scavar serbatoi dentro il recinto della città stessa, tali che potessero bastare per lungo tempo ai bisogni di quell'immensa popolazione.
Sorsero allora quelle opere gigantesche che spaventano, direi quasi, la piú cupa ed ardita imaginazione, e che non paiono lavoro di destra umana, ma di que' genii potentissimi di cui parlano le leggende orientali. I famosi templi dell'India, anteriori ad ogni opera storica, monumenti d'una civiltà che piú non esiste, non sono, a parer nostro, tuttoché scolpiti nel macigno, superiori di gran lunga a quelle cisterne che si scavarono, durante il basso impero, nell'interno di Costantinopoli. Fa meraviglia come i Turchi, che dissero sacre le fontane, che compierono nei dintorni della loro città lavori idraulici di gran momento, e che, per le loro quotidiane oblazioni abbisognano di molta acqua, non abbiano badato a conservare questi acquedotti e cisterne, mercè le quali, nel caso d'un assedio, non avrebbero a temere il flagello della sete.
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