Nel mezzo della chiesa, sotto esso la maggior navata, sorgea un gran feretro coperto d'un drappo nero lunghissimo, e circondato di vasi funerarii, donde si svolgeva melanconicamente una fiamma azzurrognola. Stavano all'intorno della bara, immobili, taciturne alcune file di cavalieri, coi vessilli abbassati ed abbrunati; mentre all'altar maggiore si celebrava una messa da morte.
Eloisa, alla vista di quel feretro, stette quasi per venir meno, quando raffigurò sovr'esso il cadavere d'un giovinetto, tutto vestito d'armi, tranne il capo, che posava sopra un guanciale di velluto nero. Spalancò gli occhi, frenò il respiro, soffocato da un'ansietà indescrivibile, nell'orrendo dubbio che quel guerriero fosse un amico di Giustiniani, fosse anche lo stesso Giustiniani.
Guglielmo che le si era inginocchiato accanto e che avea letto nei pensieri di lei, bramoso di sollevarla da un'incertezza spaventevole.
— A capo della bara si veggon l'armi di Castiglia, le diceva sommessamente.
— È dunque lo sposo di Irene, il genero dell'Imperatore! rispondeva Eloisa, rivolgendo un'altra volta a quel feretro i suoi begli occhi innondati di lagrime.
— Povero giovanetto! Irene infelicissima!
E abbassò il capo e chiuse il volto tra le mani, con atroce presentimento in fondo all'anima, mentre Guglielmo, l'intrepido marinaio, si asciugava una grossa lacrima col rovescio della mano.
— Chi sa quante altre vittime! — Pensava tra se stesso gettando uno sguardo sopra Eloisa! — Il fulmine è caduto pur vicino!...
Il cadavere disteso su quel feretro era proprio del Toledo, di quell'animoso e leggiadro giovanetto che accorse in Costantinopoli, non sí tosto la seppe minacciata dai Turchi.
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