Pendono dalle pareti della gran sala i ritratti de' suoi antenati, la cui vile imprevidenza ha preparato ai loro nepoti e al loro popolo quest'ora ineluttabile. Quale tremenda risponsabilità non pesa sulla testa di que' scettrati che posti in alto seggio per discoprir di lontano gli avvenimenti che si preparano, scolte infide si addormentano e si lasciano cogliere all'impensata!
La storia ci racconta che Costantino in quella suprema notte diede udienza a un inviato mussulmano che gli offerse, a nome di Maometto, il governo d'una ricca provincia, purché cedesse Costantinopoli. Questo giovane ambasciatore, Kaleb, con cui faremo tra poco piú intima conoscenza, tuttoché inimicissimo del nome Cristiano e mosso dall'entusiasmo delle conquiste, abborriva da quella ferocia, da quell'istinto della rapina che è propria della razza turca. Nato Arabo, sotto il bel cielo di Spagna, ritenea de' suoi padri il sentir nobile, generoso, e quel culto idolatra, cavalleresco verso la donna che ispirò le romanze dei poeti orientali e le gesta dei Mori di Granata. Ammesso alla presenza dell'imperatore, destò un senso di ammirazione nell'assemblea. L'espressione del suo volto era un misto di amabilità e di alterezza, che imprimeva alla bellezza delle forme un fascino indispensabile; il suo incedere, pieno di maestà e di leggiadria. Quando inteso dalle labbra di Costantino la magnanima risoluzione di volersi seppellire sotto le rovine della sua città, anzi che cederle, l'anima del giovanetto se ne commosse profondamente e si espresse negli sguardi, nella fronte che parve si illuminassero; ma quando gli venne offerta una somma ingente di danaro perché i Mussulmani togliessero l'assedio,
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