Le soldatesche che vengono prime all'assalto, non sí tosto è aperta la breccia, sono le milizie indisciplinate dei turcomani, di caprai e di saccomanni, gente inetta che dee colmar i fossi de' suoi cadaveri, perché ai Giannizzeri sia piú agevole il superarli. A costoro che si innoltrarono senza guida e senza ordini, sottentrano con miglior disciplina i soldati di Tracia e di Anatolia; ma anch'essi cadono sopra i primi, fulminati dai Greci che oppongono, dietro i ripari, un'invincibile resistenza. Ma si muove finalmente un grosso corpo di Giannizzeri, sostenuti da due squadroni di spahì, gente intrepida che l'antichità avrebbe chiamati centauri, tanta è la loro destrezza nel governare i cavalli. Maometto stesso, degnissimo discendente di Orcano, armato di ferrea mazza, sta alla testa di queste schiere; e dall'impeto con cui si muovono, dallo strepito delle artiglierie che li proteggono, ben t'accorgi che il destino di Costantinopoli dipende dall'esito di quest'assalto.
A fronte di questa schiera sta Giustiniani; la breccia è aperta, e dietro a que' rottami ed ai baluardi che accennano a sfasciarsi, sorge quasi gigante la persona dell'eroe. I globi di fumo e di polvere che lo circondano, rotti dai baleni, e tra il formidabile rimbombo delle artiglierie, gli imprimono nella sembianza qualche cosa di sovrumano; talché Omero l'avrebbe detto circonfuso dallo splendore d'un nume.
Ma il fato della città imperiale è maturo; un colpo di bombarda percuote ed atterra Giustiniani. A quella vista un grido immenso di gioia scoppiò dalla parte dei Mussulmani, i quali, superata ogni resistenza, scavalcano come torrente le rovine della breccia.
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