Ma v'era con essi Irene, la figliuola dell'imperatore, la quale, ancora una volta, dovea trovarsi a fronte di Achmet, quel magnanimo cavaliere, che avea protetto la sua fuga dalla città espugnata.
V
L'indole affettuosa, delicata della principessa Irene non era tale da poter reggere a tanti assalti della sventura; ma tacita, rassegnata nel suo dolore, si consumava internamente, s'avvizziva nella sua giovinezza, a guisa di fiore cui manca l'alimento della terra. Le imagini d'una nuova vita, d'un nuovo regno donde l'umana prepotenza non l'avrebbe piú cacciata, dove suo padre, il suo Toledo le sarebbero venuti incontro per mai piú separarsi, consolavano i giorni estremi di questa infelice, infioravano i sogni di lei, talché la fronte della vergine, sempre pura, sempre serena, riverberava talvolta le arcane gioie della sua anima, e frammischiava al pallore della morta una luce di paradiso.
Ma Eloisa non potea sottomettersi cosí facilmente ai voleri della Provvidenza, come la consigliava un buon cappellano, che nell'ozio di quel castello si era preparato con tutto comodo a passar quindi al gaudio eterno. Tra le meste fantasie di Irene, tornava sempre cara ed accarezzata l'idea d'un convento, ove, non vista da sguardo umano, avrebbe consacrato il fiore de' suoi affetti e della povera giovinezza al suo antico fidanzato ed a Dio; vi entrava anche l'idea del perdono verso i crudeli distruttori della sua causa, un compianto per gli oppressori, sentimenti nobilissimi che la faceano rassomigliare ad un angelo.
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