Ringrazio il cielo che per due volte mi conduce dinanzi a voi per salvarvi.
— So, cavaliere, che non meno di valoroso voi siete magnanimo. La mia famiglia, caduta, distrutta, non potrà rimettervi dai nobili beneficii che recate a me, povera, orfana, derelitta; ma quella parte del mio cuore, che non è piena d'amarezza, nutrirà gratitudine verso di voi nei pochi giorni di vita che ancora mi sopravanzano.
— Principessa, soggiungeva Achmet, la sventura non vi ha coronata che d'una gloria assai píú splendida della regale. Voi siete sempre regina nell'alterezza dell'anima vostra e nella vostra bellezza. Fuggiamo da queste sponde inospitali; abborro io pure di portar piú a lungo queste insegne e queste armi, per la gloria di Maometto e de' suoi Turchi. Fidatevi nel mio onore di cavaliero; vi condurrò in salvo dove piú vi talenta.
— E tu credi che il mio piede possa inoltrarsi per una strada che mi allontani per sempre dalle rovine de' miei? Dove vuoi ch'io vada? Non sai tu forse che io debbo morire?
E un sorriso melanconico accompagnava queste parole, che suscitarono nel cuore d'Achmet ardenti affetti che a gran forza vi ratteneva.
— Voi, principessa, voi morire! e non sapete che la mia vita dipende dalla vostra! E l'Arabo, poco badando se convenissero o no queste parole in quel suo primo abboccamento colla principessa, ignorando d'altronde le precedenti sue sventure, piegava un ginocchio a terra, rapito alla bellezza angelica della giovinetta.
— Calpesterò queste bende, se voi lo volete; il Dio vostro sarà il mio Dio, nè piú oltre vi domando che di accettarmi per cavaliere.
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