Di lì a pochi giorni, Guglielmo non ricomparve alla consueta sua passeggiata sui merli del castello; sorse il mattino, scese la sera, e il vecchio marinaio non salutò per la prima volta il levarsi e il declinare del sole sull'azzurra pianura del mare. Alla fin fine fu ritrovato, ma freddo, privo di vita, appoggiato alla tomba di Giustiniani e di Eloisa.
Quanto al cappellano, la tradizione non ne ha serbato memoria; e forse il resto de' suoi giorni potrebbe rintracciarsi in un convento di frati turchi, piú devoti al sistema di Epicuro, che a quello austerissimo di Omar.
Ora tutto l'interesse si va raccogliendo nei due personaggi d'Achmet e di Irene, che la tradizione popolare accompagna in una terra di delizie incantevoli, forse l'Arabia, senza però dirne il nome. Ma la chiama la terra dei genii, la terra ove vola tra gli aromi l'uccello del paradiso, ove la fenice ricompone il suo talamo secolare, ove si cantano da tutti i poeti gli amori della rosa e dell'usignolo. Peccato, che non possiamo andare noi pure in questa terra delle fate, per torci dinanzi agli occhi l'infelice realtà delle nostre cose!
Per qual motivo la greca principessa seguì le sorti dell'Arabo cavaliero? La paura forse di cader prigioniera nelle mani di Maometto? Forse Achmet le promise di ricondurla intemerata su terra libera e cristiana, promettendo egli stesso di abbracciare la fede di lei? L'Arabo cavaliero abborriva, non meno d'Irene, la feroce prepotenza del turco, ed è facile che, per quest'odio e per amor della vergine, abbia disertato dalle bandiere mussulmane, e siasi ridotto nella terra de' suoi padri; quanto a Irene, è sicuro, che tenne inviolata la sua fede alle ceneri del Toledo ed al suo Dio.
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