All'aspetto angelico della pia giovanetta che affidava al Cielo il secreto della sua anima, stava per gittarsi anch'egli ai piedi di quell'altare, e pregare il Dio d'Eloisa. Ma quando la giovanetta alzò le braccia verso l'imagine di Maria e ruppe in lacrime, il cuore d'Achmet non potè reggere e si spettrò in singhiozzi.
Eloisa, sorpresa, maravigliata si volse addietro e vide il Saraceno ritto sulla soglia, immobile, cogli occhi bassi, colla mano sulla fronte.
Cosí svelarono, loro malgrado, il proprio segreto.
Eloisa sorse in piedi, mosse all'incontro del cavaliero, penetrò collo sguardo dentro quel cuore, e poi ristette anch'essa nel silenzio di una terribile costernazione.
Achmet si riscosse, si ricompose e, prendendo dolcemente per mano la giovanetta, atto cui non s'era abbandonato mai nell'impeto della passione, le disse coll'accento d'un dolore rassegnato, ma inconsolabile:
— Eloisa, dobbiamo separarci; forse per poco; ma se uno strano avvenimento mi precludesse la via del ritorno, togliete quest'anello; non solo potrete uscir libera, ma rimaner signora, se vi piace, in queste mura; le mie guardie vi ubbidiranno come a me stesso.
L'idea della libertà non era piú il sogno luminoso della mente di lei; ma quella di non rivedere Achmet mai piú, le sorse in animo cosí nuova, cosí terribile, che tremò di se stessa, si comprese per la prima volta e strinse con forza convulsiva la mano del giovane, quasi la sua vita vi si reggesse sospesa sopra un abisso.
Non rispose; e il Saraceno proseguiva con voce pacata, ma che tradiva una profonda commozione:
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