— Mentre ancora fanciullo pargoleggiava tra le braccia di mia madre, sotto l'ombra di un palmizio, passò una fata, guardò il bambino, e porse alla madre un talismano, una gemma, che lo avrebbe preservato da ogni pericolo; ma l'avvisò a un tempo, che quando soprasterà al fanciullo l'ora piú terribile della sua vita, quella gemma perderà la sua lucentezza, e i giorni del fanciullo si oscureranno: ed ora la gemma della fata si è annerita funebremente!
Sebbene Eloisa non desse retta alle superstizioni orientali del Saraceno, l'accento di quella voce e la pallidezza di quel volto, già cosí ardito, le agghiacciava il cuore d'un terrore indefinibile.
— Eppure, soggiungea il cavaliero, l'ora piú terribile che può soprastarmi, ah! certo, non è quella della mia morte! la morte, qui a' tuoi piedi, Uride di paradiso, sarebbe la suprema gioia dell'anima mia disperata! —
La giovanetta tremava, volea sollevarlo, volea rispondere, ma i singhiozzi la soffocavano.
— Se tu sapessi, proseguia il Saraceno con voce rotta ma concitata, se tu sapessi, Eloisa! come terribile è questa vita, e beata nel tempo stesso! Ma se il destino può ancora invidiarmi questa dolcezza amarissima, oh prima di separarci, di', Eloisa, dimmi che tu non m'odii!
— Oh Achmet! Achmet! esclamò allora la giovinetta cogli occhi levati al cielo, io, odiarti! — E stendea le mani sul capo del giovanetto: — Achmet, tu piangi...!
E qui successe un silenzio che parola umana non può descrivere. Come dopo un crebro lampeggiare da un nuvolone gravido di tempesta, si rovescia la pioggia a goccie larghe, misurate, que' due poveri cuori travagliati cosí a lungo e da sí atroci combattimenti, cedeano all'impeto irresistibile della natura e frammischiavano tacitamente le loro lacrime.
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