Eloisa, sentendosi venir meno, accennò colla mano che le aprissero la fenestra; gettò ancora avidamente lo sguardo sull'orizzonte; cercò una vela, sospirata tanto, ed invano! la superficie dell'acque è deserta; ed ella non ha piú che un momento per aspettare.
— L'eternità si frappone tra di noi, o Achmet! disse ella tristamente, appuntando la fronte sopra la mano, quasi a reprimere il doloroso battito delle sue tempia. — Guardò il cielo, come persona che non ha piú vincolo sopra la terra; pregò piú collo sguardo che colla parola, e volle che il mazzetto di fiori, avuto dalla mano del Saraceno, le fosse deposto accanto nel suo feretro.
VII
Il vecchio padre non ebbe cuore di rimanere tra quelle mura; scomparve, né s'intese piú di lui. Il castello, omai deserto, additato dal passeggiero con un rispetto misterioso, venne presto a decadenza, e la decadenza in rovina.
Ma ivi a parecchi anni vi giunse uno straniero, solo, e vestito all'orientale. Ristette all'entrata del castello, quasi l'animo gli fallisse per innoltrarsi, e guardò la fenestruola ogivale della camera d'Eloisa; la colomba selvatica vi tesseva il nido, e l'edere abbarbicate l'ammantavano. S'aprì un varco tra l'erbe, li sterpi ed i cumuli delle rovine; entrò dentro, s'assise sopra un masso che giacea appunto nella vuota stanza, dove Eloisa era morta. Solo, tacito, passò la notte; non udiva che il mormorio del fiotto marino ai piedi delle torri, e il cader lento, misurato d'una goccia d'acqua dalle fessure della vôlta. L'imagine d'Eloisa, allo splendore della luna, parea abitasse quelle rovine, quel santuario abbandonato, candida, luminosa, sempre bella agli occhi dell'infelice che troppo tardi vi ritornava.
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