Cosí, tranne il castello di Savona, che difeso dal prode Agostino Adorno, rispondea coi cannoni alle intimazioni nemiche, tutto il territorio ligustico era in balia delle soldatesche straniere. Il giorno stesso che Genova veniva in forza del Botta, il Senato inviavagli copiosi rinfrescamenti e delicati mangiari!! Ei li ricusò. Che cibi, che cibi? Cannoni e palle voleavi — e v'eran palle e cannoni e mani avvezze a trattarli, ma negli inetti ottimali venne manco il coraggio. Forte sarebbe il dire qual bizzarra politica governasse le teste d'allora, che senza colpo ferire abbandonavano a feroci soldati una popolosa città forte di doppie mura, di viveri e d'armi, e, come ciò fosse poco, inviassero poscia al nemico elette vivande. Ma ben altri doni mandò il popolo al Botta quando la sua pazienza tramutossi in furore!
Inorgogliti dei loro successi gli Austriaci, e da estrema penuria venuti in improvvisa abbondanza, pensarono spolpare Genova in tutto, e non lasciare a' suoi figli che una misera vita. Pieno di questi sinistri pensieri giungeva l'8 in San Pier d'Arena il conte Kotech, commissario generale di guerra, chiedendo al senato per lettera — inviasse subitamente due nobili con cui convenir della somma che a nome di S.M. la regina doveva egli esigere dai Genovesi. — Andarono Gio. Batista Grimaldi e Lorenzo Fieschi, personaggi gravissimi. A' quali, venuti in sua presenza, comincia il Kotech a magnificare la clemenza cesarea verso i Genovesi, cui concedea governarsi con leggi proprie, mentre potea d'ogni cosa privarli, e soggiunse: — Non altro volere la regina se non che riparassero ai danni recati, poiché solo per colpa loro avevano i suoi nemici trovato libero il varco a calare negli stati lombardi con tanto detrimento alla sua giustissima causa; il piú degli stipendii liberalmente lor rimetteva, acconciandosi solo a riceverne una piccolissima parte.
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