E d'ogni piú sacro diritto del pari abusavasi in Genova. Nuove e piú gravose richieste di tende, armi e foraggi intimava il Botta alla esausta città: un'altra taglia poneva il Kotech, minacciando pieno esterminio se prontamente non fosse soddisfatto a' suoi matti capricci. In queste strettezze il senato mandava Agostino Gavotto, Agostino Lomellini, Cesare Cattaneo e Matteo Franzone, sommi personaggi, a Vienna per mostrare alla regina le piaghe di Genova e implorare un giusto sollievo; ma i necessari passaporti veniano dinegati al Botta, né gli potè ottenere lo stesso ministro della repubblica a Vienna, Giuseppe Spinola. Il quale venne anzi forte rampognato da conte d'Ullefeld dell'avere il genovese senato richiesti i buoni officii del re britannico e degli stati generali per impietosire l'animo della regina. Di questo non paghi i Tedeschi, occuparono i magazzini, i viveri e le munizioni spettanti alle truppe delle tre corone, e ne fecero prigionieri gli officiali rimasti in città. Non potè questa nuova violenza ingollare il conte di Cecil, tenente generale delle armi della repubblica, e però, chiesto il suo congedo, partì. Intere famiglie di nobili e di doviziosi mercatanti sfrattarono dalla lor patria, cercando in forestiere contrade il difficile oblio dell'oppressa lor terra, come quelli che amano per minor danno udirne l'esterminio da lungi, che co' propri occhi contemplarne lo struggimento. E molti di piú si sarebbero condannati a volontario bando, se una provvida legge del consiglio minore non avesse vietato a qualunque nobile o senatore che siedesse in detto consiglio star lungi dalla città o sue vicinanze un anno, sotto la pena di 4 mila scudi d'oro e d'esser mandato per dieci anni ai confini.
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