Ciò parendo giustissimo, il doge ne fe' proposta al consiglio minore. Gran baccano ivi nacque a cagione d'alcuni, i quali, o credessero, obbligando i beni del comune, i propri averi e le persone proprie obbligare, o le presenti calamità abbastanza non comprendessero, mossero strepiti e turbarono i voti. Potè questo tumulto a gran pena sedare Filippo Francesco Spinola, grave d'anni e piú di senno, finché levatosi in piè Agostino Gavotti, propose di dar tempo a conoscere le condizioni della repubblica a quelli che non già per sedizione, ma per non bastevole cognizione delle loro afflitte fortune avevano originato un tanto scompiglio. S'applaudì questa savia sentenza, e si sciolse il consesso. Differita la cosa tutto andò a vuoto, giacché il Botta, mutato d'avviso, fe' intendere che carta piú non voleva, ma si bene danaro; provvedessero, e prontamente pagassero.
In queste miserande strettezze giunse improvviso in città il conte Cristiani, gran cancelliere di Milano, uomo di vasto ingegno e dottrina, ma di smodato amor proprio, cui la timida aristocrazia aveva ne' tempi addietro negato con villana ingiustizia un misero vicariato, e che Maria Teresa creò senatore, e colmò di ricchezze e d'onori. Da lui come suddito della repubblica che lo ascrisse nel 1745, quasi ad ammenda al suo patriziato, speravasi qualche sollievo a tanti deplorabili guai. Ma la sua venuta non portò che un nuovo sfregio alla patria, giacché egli, senza previo permesso de' Padri, aperse ai 30 settembre in Castelletto l'offizio delle poste tedesche, e vi pose persone che lo amministrassero a conto della regina.
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