Intanto, non che cessasse il furore de' barbari, a mille doppi cresceva, e non solo nella città, ma nelle borgate e castella ove erano iti a svernare, manicciavano, rubavano, spolpavano a tutta possa. Impossibile a descrivere lo stato miserrimo della città. Le persone taglieggiate e battute: alla perdita degli averi s'univa la straniera insolenza. S'aprivano le botteghe per forza, e a lor capriccio pagavano, o si portavano ciò che meglio lor tornava: rispondevano a suon di percosse. I ricchi scemavano le spese sottilmente vivendo, ma il numero dei bisognosi cresceva a dismisura ogni dì. Silenzio e tristezza occupavano i nostri, mentre il rapitor snaturato scorreva bravando per la città, e già segnava i luoghi che avrebbe depredato fra breve.
Il general Botta chiese si liberassero di carcere due figli del Rivarola, torbidissimo uomo ch'era ito in Corsica, felloni essi pure, e con tal piglio lo chiese, che accennava a comando. Tacevano i tribunali: nulla operava il senato che nol sapesse il Tedesco: vana mostra i magistrati. Serbava, è vero, il doge ancor le sue guardie, ma prigioniere di guerra: la porta del Bisagno era anch'essa in man de' nemici. Correano voci fra il popolo che il cittadino sangue fra otto di correrebbe a torrenti: si alzerebbero a mucchi i cadaveri. E intanto i Tedeschi visitavano i posti ov'erano a guardia i militi della repubblica, e, schernendo, chiedevano qual numero di gente abbisognasse per munirli di scolte, affermando che quanto prima si sarebbero impodestati di quelle stazioni.
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