Ma vana tornò l'opera della paura; que' strenuissimi petti ebbero orecchi di ferro alle loro supplicazioni, ed armi, armi fremendo, bandirono aperta guerra ai Tedeschi.
Rapida intanto per gli altri rioni di Genova volava la fama di quanto avvenne in Portoria, e però ingrossati gli animi de' cittadini, e in special modo quelli del quartiere di Prè, a grandi torme correano verso il Palazzo. E già per le negate armi cominciavano a tumultuare, e in aperte minaccie prorompere contro chi timoneggiava lo stato, senonché un furioso roveschio di pioggia ed il fitto tenebror della notte costringeva que' prodi a spulezzar dalla piazza e tornarsi alle lor case. Cotal fine a cinque ore di notte s'ebbe il primo giorno della genovese riscossa. A breve sonno davano que' forti popolani le membra, desiderosi che già sorgesse quel giorno in cui Genova, dal dolore purgata e potente di fede, potè concentrare in un solo scopo i conati del popolo, fiaccare l'aquile australi, rinsangiunare coll'esempio i patrizi nelle lascivie sfibrati. Né bisognavano a lei minori sventure per rifar le sue forze ed irrompere alla portentosa rivolta.
Prima assai che albeggiasse, una fitta calca audacemente mostravasi in faccia al palazzo dei Dogi, chiedendo l'armi con grida ognor piú minacciose. Era torbido il giorno: cadeano stemperate pioggie, ma sprezzando gl'insulti del cielo, piú sempre ingrossavano i sollevati. Chiusi nelle loro lettighe andavano i patrizi ed i senatori a Palazzo: intorno a questi stipavansi le turbe, ed armi, prorompeano, dateci armi e non ciancie: noi, vostro malgrado, sapremo difender la patria.
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