Il popolo che le tattiche sconoscea della guerra, altro tamburo facea verso i Tedeschi inoltrare da sei di loro scortato, senonché il nemico credendo esposti i suoi messaggi, a gran danno traea contro i Genovesi un pezzo a mitraglia che sfracellò due de' nostri e un terzo mortalmente feriva. Fremeano a tal vista di generoso sdegno le turbe, e nondimeno chieste d'un armistizio, prontamente lo concedevano, sperando poter scendere senza nuovi spargimenti di sangue a termini temperati di pace.
Intanto il reo Botta, viste sinistrar le sue cose, mandava il colonnello Ochel a Fassolo presso il Doria, principe di Melfi, che sapeva essere molto innanzi nella grazia de' suoi, pregandolo ad interrompere la sua mediazione per reciproci accordi. Sebbene repugnasse al Doria l'infame proposta del generale, pur, rotto ogni indugio, egli recavasi ai Padri, esponendo: — Chiedere il Botta al senato che, non valendo il governo a raffrenare i moti del popolo, facesse colle sue truppe assalire la tumultuante plebe alle spalle, mentre egli, giovandosi dell'armistizio, l'avrebbe percossa di fronte. — E, vaglia il vero, la Signoria rispondeva: — Essere troppo scema di forze per tanto intraprendere; quand'anche l'avesse, impossibil cosa comprimere un popolo che balza in piedi come un sol uomo a tutela della sua libertà; orrendo misfatto chiedere il generale, spronando il senato a contaminarsi di sangue fraterno: voler esso ben essere il padre, non il carnefice de' suoi governati. —
L'armistizio chiesto dal Botta covava un inganno.
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