Teneri di libertà, la licenza abborrivano. E sia suggello al mio dire il fatto che senz'altro qui narro. L'offizio delle poste tedesche, eretto dal Cristiani presso i pubblici forni, aveva eccitato la pubblica indignazione. Però avendone i popolani cacciato a furia di moschettate i custodi l'invasero, ed ivi nascosti trovarono ricchissimi argenti, suppellettili e arredi di sfolgorato valore. La tema d'un sacco imminente gli avea fatti ivi depositare come in luogo sicuro. Ma il popolo che, come bottino, poteva considerare e far suo un tanto tesoro, non tosto conobbe a chi apparteneva, che religiosamente lo ponea nelle mani de' suoi primi padroni. Formidabile contro i nemici, grazioso era co' suoi. Ordinata ogni cosa, emanava da sezzo un severissimo editto, chiamando sotto gravissime pene ogni cittadino a difesa della patria comune. Così i nati ad obbedire mostravano che, volendo, sapean pur comandare.
Sorgea l'alba del dieci, solenne negli italici annali per la generosa riscossa, ultimo de' sei dì memorandi che bastarono ad una afflitta città per distruggere un fioritissimo esercito, salvare da forestiera invasione la Francia, e rivendicare a libertà la misera Italia. L'armistizio, durato tutto l'8 ed il 9, toccava il suo fine, e di ciò dolorava il duce tedesco, che il nerbo delle sue forze non aveva ancora in tutto raccolto. Chiedeva pertanto che la sospension d'armi si protraesse fino all'ore 16 italiane di quel dì, e v'assentiva il quartier generale del popolo, protestando, ch'ove fosse trascorsa quell'ora, si sarebbe lanciato all'assalto.
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