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      Ma grave ostacolo alla virtù genovese era quel corpo nemico che dall'alto della commenda di San Giovanni di Prè sfolgorava senza tregua le cittadine milizie, contendendo loro l'assalto alle porte di San Tommaso. E però conveniva a tutta prova snidare da quel luogo i Tedeschi. Non giovando a cacciarli le moschettate, entrarono i nostri nel vicino arsenale, i di cui cannoni volgendo lor contro sì fattamente gli bersagliarono, che metà del campanile, i sacri bronzi e le travi con subita ruina piombarono. I superstiti da tanto esterminio sgombrarono dalla Commenda e tentarono, serrati in falange, ridursi in salvo a San Tommaso. Ma il popolo e i birri, ch'anch'essi armati pugnavano, si scagliarono con tal furore su quelli, che, circondati d'ogni lato e malconci, gittarono l'armi e si dieder prigioni. Fra i lieti cantici della vittoria i popolani gli addussero nell'atrio del palagio ducale, e quindi tornarono a congiungersi colla colonna del centro, che, atterrato l'intoppo della commenda, potè mostrar fronte al nemico. Dall'alture di monte Galletto, di Pietraminuta, dall'arsenale e dalla Cava lanciavano i nostri bombe d'ogni calibro, granate reali, e palle di ferro e di marmo; un grosso cannone che avean trascinato sul Castellaccio dava la carica ad un palagio presso la chiesa d'Oregina ove s'era riparato un distaccamento nemico: il sangue tedesco correva a torrenti. Pure, benchè d'ogni parte investiti, non retrocedeano d'un passo: anzi, animandosi colle grida di viva Austria, viva Maria Teresa, teneano, coll'incessante moschettìo, lontani i Genovesi, e colle artiglierie gli mitragliavano.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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