Giunto il mortaio alla cava, venia tolto dal carro e collocato nell'antico suo posto, fra un subbisso di evviva e di festosi clamori.
IV
Fra le maggiori glorie d'Italia splende al pari dei Vespri l'animoso insorgimento di Genova. Sicilia e Liguria, per asprezza di straniero dominio, per violati diritti, per impeto simultaneo di popolo senza macchina di congiura, per generoso rivendicarsi a libertà, fra loro egualissime, meritano unite rivivere nelle memorie dei posteri. Come l'avaro Angioino quell'isola duramente spolpava, così in questa terra il soldato alemanno tutte cose rapiva e spegneva ogni brio di repubblica. Pagate, paterini, pagate, gridavano i barbari esattori di Carlo; danaro, urlavano il Botta e il Kotech, danaro, danaro. Quasi estranio alla rivolta il baronaggio in Palermo; avversi in Genova i Padri. Il bastone tedesco da un lato, dall'altro la francese libidine furono le prime scintille dei due memorabili incendi. E corsero in ambo i luoghi così fiere le stragi che come i nostri occidevano giubilando i nemici, così quegli isolani credevano far cosa grata a scannare un francese. L'un popolo e l'altro a divino prodigio, anzi alla protezion della Vergin riferiva il successo. Più tremendo nel suo rapido insorgere il Vespro: più memorando in tanta fiacchezza di tempi lo scoppio delle sei nostre giornate. A gravi misfatti o orribilità strepitose prorompea la Sicilia nello sparare il corpo alle donne incinte dello straniero e sfracellarle alla terra il frutto di quel mescolamento di sangue d'oppressori e d'oppressi, colpa in parte di quei ferocissimi tempi; paga Genova invece di fulminare i suoi nemici in battaglia, non insevì sopra i vinti.
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