La Consolatrice degli afflitti aveva esaudito la mia preghiera.
Io discesi a Rapallo col cuore tranquillo. Nè, quantunque per due lunghi anni aspettassi invano, mai venne meno in me la certezza che Giorgio sarebbe liberato. Finalmente i religiosi della Mercede lo riscattarono. Giorgio ritornò in patria, e ci maritammo. Ma prima di sposarlo volli che salisse meco a questo santuario per ringraziarvi la benedetta sua Liberatrice. I due cuori d'argento da noi offerti in voto alla sacrosanta imagine vi stanno appesi tuttora.
Noi eravamo poveri in quel tempo. Io mi guadagnava il vitto col far pizzi di filo di Fiandra, come usano le donne del mio paese. Giorgio non era che un semplice marinaio. Egli fece una piccola eredità, la convertì in danaro, si diede a trafficare ed entrò a parte di un appalto per la pesca dei tonni. Iddio diede favore a' suoi negozii; e noi diventammo assai ricchi per la nostra condizione. Allora passammo ad abitare in Chiavari, ove mio marito comprò una casa in città ed una villa in sul poggio. La nostra vita scorreva beata. Ma il luogo dell'umana felicità non è questa terra. Giorgio morì nel vigor de' suoi anni, ed io rimasi vedova e tutrice di una bambina, unico frutto della nostra unione. Ora questa figlia è in età da marito, ed io l'ho promessa ad un giovin men ricco di lei, ma d'ottimi costumi, che le conviene per ogni verso. Essi teneramente si amano. Ma il giovane, per certe ragioni di famiglia, non può sposarla che di qua a sei mesi. Perciò son venuta a pregar la Madonna di farmi vivere sino a quel tempo, affinché io possa condurre la mia Teresa all'altare.
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