Lo che quanto sia erroneo e falso non occorre dirlo, ché né in detto tempo, né prima, né mai vi si ritrovò né la predetta somma né la decima parte. Lo che basti a provare li continui fallimenti de' banchi, li quali non son falliti né per malizia né per disgrazia, eccetto che, avendo impiegato li denari in mercanzia, quando si ha voluto cavare alcuna somma, in breve, di cento o ducentomilia docati, per la carestia di contanti, che non han possuto ritrovare per gli altri banchi (ché, se vi fussero stati, averiano avuto credito; ma, per la carestia che vi era, ognuno steva sopra la sua), son falliti. Ché se in detto tempo in banchi vi fussero stati solo tre o doi milioni di contanti e meno, al securo non saria successo fallimento. E a chi non bastasse questa prova, potria far diligenza e vedere nelle casce maggiori de' banchi in quel tempo che contanti vi erano, ché ritrovará che né tre né doi e forse meno uno ve ne era di milioni; ché, se bene ve ne fussero stati diece e venti e trenta nell'anno 1590, meno arrivaria alla proporzione che vi dovea essere a rispetto della quantitá predetta. Veritá dunque certissima è che non sia vera la detta esperienza, ma imaginaria; e questa, reale e tanto differente dalla predetta, che è contraria. Oltre di ciò si può conoscere, questa sua abbondanza in detto tempo e penuria nell'altro, dall'argento che è venuto in zecca dall'anno 1581 indietro, nel qual tempo si permesse che si spendessero ordinariamente le monete spagnole, quale prima non si spendeano, ma andavano in zecca con tutte l'altre forastiere, che veneano in alcuna quantitá mediocre: ché mai si ritrovará esservi venuto ordinariamente, non che sei milioni, o quattro, o uno, ma sottosopra, per il calculo che ho fatto fare dall'anno 1548 insin alli 1582, repartendo tutta la summa a tutti l'anni, viene libre d'argento ventinovemilia centosessantasette che sono venute in zecca, quale, riducendole in valuta di monete, sono trecento e seimiliaducentocinquantatré ducati l'anno.
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