Si bene si è detto che, quando non vi fusse stata detta causa, non possea essere l'altezza del cambio causa di penuria e la bassezza d'abbondanza, e si bene da quella veritá fusse manifesta quest'altra per gli effetti che si scorgano, mi ha parso piú che necessario portare l'una e l'altra e tante altre ragioni addotte che si avria possuto far di meno. E per tal rispetto voglio ancora discorrere sopra il particolare che dice di Sicilia, che lo porta per corroborazione della sua opinione: che, non raccogliendosi in quel regno la quarta parte della seta che si raccoglie nel regno di Napoli, con tutto ciò le galere di Genoa, ogn'anno, di agosto, che vanno in Palermo e in Messina, portano cascette di reali per quelle, e in Regno, che se ne fa tanta, non portano un carlino; e assegna la causa che le piazze di Palermo e Messina sono povere, e per quelle non si trova a cambiare somma grossa per la fiera di Piacenza, e con altre non tengono corrispondenza. Se ciò era vero, fece male non consigliare che si proibesse il cambio in tutto, poiché in questo modo era sicuro venire li denari di contanti, e non per il modo di bassarlo, ancorché fosse vero il guadagno del portare in contanti. Poiché né sempre, né a tutti luochi, né in ogni tempo torna espediente portar contanti, possendo portarli per cambio, ancorché si perdesse in cambiarli; ma, essendo tolto il cambio, di necessitá bisognava portar li denari in contanti. E tanto piú si dovea fare, quanto egli di sopra ha detto che le cittá d'Italia non possono spesarsi della robba del Regno, ché con quella vivono; e l'esperienza predetta del regno di Sicilia lo dovea certificare di questo e non farlo dubitare che si saria perduto il commercio per il mancamento del cambio, come non si è perduto in detto regno.
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