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      E, con tutto ciò che Venezia ha dismesso di far la moneta picciola di lega bassa, come son le lire e li marcelli e altre simili, non per ciò vitupero che per le monete picciole, e in quella quantitá che sono bastanti per cambiare conforme la grandezza del Stato del prencipe, si facessero, non dico di lega bassa, ma di rame scietta, nella quale solamente la forma e non la materia apportasse d'utile, perché questo resultaria in beneficio d'alcuna considerazione del prencipe e non genereria alcuno delli predetti inconvenienti, e in ogni caso saria facilissima la provisione che non li generasse, e cosí ancora che non causasse che altri la facesse: quale provisione taccio, per non trattarsi di questa materia. Come all'incontro dico che non è espediente al prencipe o al regno far fare tanta quantitá di moneta piccola, che corra ordinariamente, anzi sia la maggior, per non dir sola, che corra in negozi, e, oltre l'incommoditá grande, è facilissima a tagliarsi e falsificarsi: ché, se a far quella move alcuno utile, per essere manco di peso a rispetto delle grosse, manco mal saria fare meno di peso una qualitá sola de le grosse, e avere tutto l'utile Sua Maestá e non partirlo con mercanti e artefici di zecca. Sopra lo che non dico altro, per non essere del mio proposito.
      In quanto al crescere il prezzo alla moneta propria o bassare il peso, dico che, quando si devesse fare per alcuno espediente, bassare il peso è piú a proposito, né è vera alcuna delle ragioni apportate dal detto per la reprobazione.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





Venezia Stato Sua Maestá