Io per me pongo la essenza della moneta o la sua ragion formale (come dicono) nell'essere a tale offizio destinata ed autorizzata dal principe, sicché almeno ne' luoghi, ov'egli comanda, ella corra e, come tale, serva di prezzo e misura del valore delle cose contrattabili: imperocché chi mai saprebbe negare il nome di "moneta" a quella di stagno che si batte in Sumatra; tanto piú che, oltre i popoli di quella grand'isola, anche gli ollandesi, gl'inglesi e portoghesi, che trafficano in quelle parti, la ricevono e spendono? Anzi, chi mai vorrá contrastare questa prerogativa a quei buzios o conchigliette marine, che dissi aver corso come tali non solo in piú regni dell'Africa interiore, co' quali non hanno che raro o poco commercio gli europei, ma ne' grandissimi reami di Bengala, Pegú, Siam, Malaga e in tanti altri, che non sono sí poca parte del mondo ed hanno grandissimo commercio cogli europei? E saprei ben volentieri qual nome vorrebbe dare il Davanzati alle monete di cuoio, di carta o d'altre materie sigillate, che tanti principi hanno, in piú occasioni di strettezze di soldo, battute per pagare i soldati, con promessa di barattarle a suo tempo in migliori; se, frattanto ch'esse ebber corso, nulla loro mancò di ciò che ad esser vera moneta si richiedeva, merceché per autoritá e comando del principe niuno le ricusava per prezzo di qualunque cosa si contrattasse? Io veramente non trovo che ad alcun altro di tale ripiego rissovvenisse e lo ponesse in esecuzione, prima del famosissimo Domenico Michiel, doge della serenissima veneta repubblica.
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